Analisi di Vedrai vedrai

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  1. Vecfan
     
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    Naturalmente, "Vedrai, vedrai" è uno dei capolavori di Tenco e, probabilmente, quello che ne rappresenta meglio la personalità, sempre in tensione tra delusione e rabbia, tra disperazione e speranza. Un brano originale e inaudito per la sua epoca: non compreso allora e, tutto sommato, poco anche adesso. Come sempre, Luigi parte da uno spunto autobiografico; ma a indulgere troppo sull’autobiografismo si rischia di fare della psicologia da rotocalco e di vanificare quanto di universale c’è in questo capolavoro.
    1) Sul piano autobiografico, si sa che il brano è dedicato alla madre, una donna che l’aveva tirato su da sola, che avrebbe voluto per lui un avvenire borghese e “sicuro” (da ingegnere) e verso la quale Tenco si sentiva anche in colpa per aver seguìto la sua vocazione artistica e musicale (… “che mi rimproveri di averti delusa”). Per di più Luigi era continuamente frustrato dal fatto che, nonostante il suo impegno e il suo talento, non riusciva ad affermarsi, a “sfondare”, col rischio sentirsi prima o poi un “mezzo artista fallito”. Lo vediamo così mentre la sera torna a casa deluso (immagine che ritornerà in "Un giorno dopo l’altro"), senza “neanche voglia di parlare” e con la constatazione che “non è questa la vita / che ho sognato un giorno per noi” (come si sa, anche il tema dei sogni adolescenziali frustrati è ricorrente in Tenco). La madre lo accoglie indulgente e cerca di consolarlo. Al che lui si sente ancora più in colpa verso di lei, a tal punto da dirle: “Preferirei sapere che piangi, / che mi rimproveri di averti delusa…”. Vale a dire: “Non perdonarmi, ma incàzzati: anzi, incazziamoci insieme per cambiare l’ordine delle cose”. Ecco allora come il ritornello “Vedrai, vedrai, / vedrai che cambierà…” non va inteso come un generico appello consolatorio, tanto per sperare che un giorno le cose andranno meglio, ma come un urlo di rivolta, che è un appello a lottare insieme per il “mondo di domani” (per riprendere un’altra espressione cara a Tenco), cioè per un vero e proprio rivolgimento politico-sociale, dove vivere meglio e dove anche gli artisti, non più frustrati dal mercato, avranno “diritto a vivere”. Che si tratti proprio di questo, Tenco ce lo dice, per esempio, in "Io vorrei essere là": “Io vorrei essere là, / sulla mia verde isola, / ad inventare un mondo / fatto di soli amici. / Vorrei essere là / per non dover difendere / giorno per giorno, sempre, / il mio diritto a vivere. / Vorrei essere là, / ma devo rimanere / perché anche qui domani / qualcosa cambierà”. Da qui il Tenco contestatario e “politico”, testardo e ribelle, che non si dà facilmente per vinto: “… non son finito, sai”.
    2) Sul piano poetico più generale, "Vedrai, vedrai" oscilla continuamente (anche durante la meravigliosa versione filmata, che fa venire i brividi) tra disperazione e speranza, tra amarezza e rivolta. Non parlerei neppure di “malinconia”, ma del contrasto stridente tra questi due diversi livelli emotivi. Tenco ci illustra e ci interpreta da par suo una situazione interpersonale comune, drammatica, che parte dalla constatazione della SCONFITTA (di una sconfitta temporanea, però), ma senza arrendersi e lasciando viva la speranza del RISCATTO (umano, sociale, politico, ecc.). Una situazione universale, appunto, che non vede necessariamente coinvolta una madre, ma anche una possibile compagna di vita. Il tessuto musicale del brano si sposa alla perfezione col testo, nelle sue alternanze di dolore e rabbia (cfr., nel ritornello, la seconda ripresa di “Vedrai, vedrai, / non son finito, sai: / non so dirti come e quando, / ma vedrai che cambierà”). Anche la scelta dell’arrangiamento (pianoforte solo) restituisce quell’atmosfera colloquiale e da “camera”, che altrimenti suonerebbe retorica. Viene da chiedersi come facesse Tenco a stare così attento a tutti questi dettagli, senza lasciare nulla al caso; ma è probabile anche che si facesse guidare dal suo infallibile “istinto” artistico.
    Il messaggio di "Vedrai, vedrai" è, in ogni caso, chiaro e netto: come sempre in Tenco, del resto. Luigi sfronda via (con una sorta di procedimento a “levare”, anziché “ad aggiungere”, come faranno invece tanti cantatutori degli anni ’70) tutto ciò che è inessenziale alle cose che ha da dire: ci immerge subito in “medias res”, giungendo direttamente al nocciolo di un dramma psicologico o interpersonale, senza compiacersi nella descrizione del paesaggio o di tutto ciò che può fare da contorno. Forse ci era costretto dalla struttura tradizionale e popolare del genere canzone: ma tre minuti gli bastavano a dire tutto. La sua interpretazione fa il resto: nessuno può cantare Tenco come Tenco (non ci sono Mine o Vanoni che tengano) perché le molte sfumature emotive e i molti echi di ciò che aveva da dire provenivano direttamente dalla sua interiorità ed erano resi alla perfezione dalla sua vocalità, a tal punto che si sarebbe tentati di dire che "Vedrai, vedrai" non è per solo pianoforte, ma per pianoforte e sax.
     
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11 replies since 11/2/2007, 10:22   11633 views
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