Analisi di Vedrai vedrai

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    http://testi.luigitenco60s.it/post/548208/VEDRAI+VEDRAI#more

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    Edited by LaVerdeIsola - 17/5/2008, 00:51
     
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  2. balans 1
     
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    Credo che l’interpretazione di “Vedrai, Vedrai”, fatta al pianoforte da Luigi in TV, sia una delle cose (in assoluto) più belle che ha espresso la musica leggera italiana (e non solo). Sono anche convinto che utilizzare questo video, come sigla di apertura e chiusura delle serate del festival di Sanremo, sarebbe il giusto tributo per ricordare, e risarcire, Luigi Tenco. In questa interpretazione c’è tutto Tenco (compreso il suo sax, posato con leggerezza sopra il pianoforte). C’è il Luigi compositore, cantante, musicista, attore, interprete, figlio, compagno, fratello, uomo…, insomma c’è l’uomo e c’è l’artista! Fatta questa doverosa premessa, e poiché nessuno si è ancora deciso a rompere il ghiaccio, tenterò di cimentarmi in una personalissima analisi di “VEDRAI, VEDRAI”.

    “VEDRAI, VEDRAI”

    E’ un pezzo che, partendo da una situazione personale, come spesso accade nelle opere di Tenco, riesce a descrivere una situazione sociale molto diffusa nel mondo giovanile. Credo che nel pezzo sia facilmente individuabile lo stato ansioso che pervade molti giovani nel vedere scorrere il tempo, senza essersi ancora realizzati (in un’altra canzone Luigi dice: “…non ho ancora trovato il mio posto nel mondo…”). Quest’ansia nasce soprattutto dalla paura di deludere i propri genitori che spesso fanno grossi sacrifici per veder realizzati i progetti che hanno sognato per i loro figli… . In questa canzone si percepiscono subito gli elementi fondanti del testo: lo scorrere del tempo, “quando la sera me ne torno a casa...” (descritto quasi come in “ Un giorno dopo l’altro”) e l’incomprensione da parte dei familiari (che crea nei giovani ansia e sensi di colpa). “Vedrai, Vedrai” sembra una preghiera, sembra dire: “ti prego, cerca di capire che per realizzarsi ci vuole molto più tempo, purtroppo il tempo ha una sua relatività…, proprio per questo motivo i tempi di una realizzazione professionale sono un’incognita!” Luigi in questa canzone dimostra di essere però molto ottimista, anzi è sicuro che prima o poi riuscirà a realizzarsi, ma percepisce anche che il giudizio di sua madre, senza che lei lo esterni mai, non è altrettanto positivo, anzi lei è convinta che suo figlio stia buttando via il tempo. Luigi sa che Lei e Valentino lo vorrebbero laureato, non artista. Insomma, teme che sua madre, silenziosamente, lo giudichi un perditempo, “un acchiappanuvole che sogna di arrivare”, ed è quasi certo che lei sia convinta che sarebbe meglio che continuasse a studiare piuttosto che correre dietro alla musica. Luigi è molto dispiaciuto di questo giudizio, soprattutto perché lei non trova neppure la forza per dirglielo, forse per colpa di troppo amore, forse perché cerca di proteggere questo suo figlio che giudica un pò diverso, essendo il frutto di un amore trasgressivo… . Luigi cerca di tranquillizzarla dicendole di essere certo che ce la farà, sembra chiederle solo tempo: “Vedrai Vedrai… vedrai che cambierà, forse non sarà domani, ma un bel giorno cambierà. Vedrai, Vedrai… non son finito, sai, non so dirti come e quando, ma vedrai che cambierà”, mamma dammi più tempo! Questa preghiera è impressionante, soprattutto oggi che i giovani escono da casa dopo i 30 anni, in quegli anni un’artista impegnato e già di discreto successo a soli 24 anni dice alla madre “Vedrai, Vedrai… non son finito sai…” (perciò lui sente nell’aria che qualcuno già lo giudica finito a soli 24 anni, ma allora quali e quante erano le aspettative familiari in quegli anni?). Un altro passaggio importante della canzone è quando Luigi dice: “ “Preferirei saperi che piangi, che mi rimproveri di averti delusa, e non vederti sempre così dolce accettare da me tutto quello che viene. Mi fa disperare il pensiero di te, e di me che non so darti di più”. In questo passaggio si coglie l’esistenza di un rapporto “speciale” tra i due, dove per Teresa Luigi non è solo un figlio ma rappresenta anche l’uomo che lei ama ma che non le vive accanto (cioè suo padre Carlo). Luigi si rivolge a sua madre in due modi molto diversi, prima come fosse un “bambino”, un bambino che ritorna deluso e perciò si aspetta i giusti rimproveri, le “scullacciate” …, azioni che gli consentirebbero (finalmente) di saldare il conto per averla delusa e non essere stato all’altezza delle sue aspettative (come avviene dopo aver preso un brutto voto a scuola… ); poi le parla come suo uomo adulto, infatti, la canzone ha dei momenti struggenti e libera un’energia mista a rabbia. Si sente la voglia di dire: “cazzo sono bravo, sto lavorando, devi essere orgogliosa di me; vedrai, vedrai io ce la farò, sfogati, dimmi quello che pensi, dimmi quello che ti dice Valentino. Lo so che ti dice che se vado avanti così sarò un fallito, “uno senza né arte né parte”. Luigi comprende che la mancanza del padre (Valentino non lo vive come un possibile sostituto) complica notevolmente il ruolo di sua madre, e questo lo fa soffrire molto, preferirebbe un rapporto più normale e schietto, infatti, dice : “ Sì lo so che questa non è certo la vita che ho sognato un giorno per noi” .

    Ecco io in “Vedrai, Vedrai” leggo anche questo triangolo familiare e l’ombra di un padre che non c’è, Teresa che ama Luigi oltre che come figlio anche come compagno. Questo mette in ansia Luigi che spera di realizzarsi il più presto possibile, ormai è certo che ci riuscirà perché ha capito che ha molte cose da dire e i mezzi farlo…. Teme solo che se il successo non arrivi subito (non dipende da lui) e se così fosse continuerà a deluderla e farla soffrire… .
    Ritengo che questo sia il pezzo di Luigi più struggente, intimista, quello che lo coinvolge di più direttamente nella sfera privata, ed è proprio per questo che interpreta “VEDRAI, VEDRAI” come fosse UNA PREGHIERA, con una carica e un’intensità “UNICA E IRRIPERTTIBILE”. Balans


    Il ghiaccio è rotto, ora aspetto la vostra analisi e quella di Ross e tutti gli altri musicisti dell’isola
     
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    Se io fossi una canzone, sarei VEDRAI VEDRAI. Se io fossi uno strumento sarei un pianoforte. Ecco perchè lei rappresenta la colonna sonora della mia vita. A differenza di Luigi io questa canzone la sentivo come un INNO nei confronti di me stesso ( fino al 27 Gennaio, poi e' arrivato Andrea ), a cui cercavo quotidianamente di dare delle giustificazioni al fatto che ANCORA, dopo 35 anni, non avevo ( e non ho ) conseguito quegli obiettivi che mi ero prefissato ( come il lavoro ad esempio ancora in bilico ). Mi fa disperare il pensiero di me stesso ed il fatto che non posso darmi di piu'. Con la nascita di Andrea il 27 Gennaio 2007, il baricentro si è spostato nella sua direzione, perchè adesso.....tutto quello che intendo realizzare è per lui e quel VEDRAI VEDRAI adesso HA UN SIGNIFICATO ANCORA PIU' PROFONDO PER ME.

    In questo senso penso che se il figlio di Tenco fosse nato, Luigi avrebbe scritto una canzone per lui sulla falsa riga di vedrai vedrai.

    Analizzando il testo, mi piace il Tenco che ne esce fuori: sicuro di se, capace di CONSOLARE SUA MAMMA e di ZITTIRE suo padre ( questo intravedo e quindi lo dico ) ed il fatto che la canzone invece appaia come struggente, è solo una copertura per non far intravedere la troppa sicurezza. Luigi è stato bravissimo in questo tant'e' che chi ascolta VEDRAI VEDRAI la incorona CANZONE PIU' STRUGGENTE che esista. E invece nasconde la profonda sicurezza ( RABBIOSA e di qui STRUGGENTE ) di Luigi nel raggiungere i suoi obiettivi.

    Di questo vuole far partecipe la mamma, la rassicura, le fa capire ( tra le righe ) che non ha bisogno di suo padre e che anche lei puo' farne a meno. Che Luigi e lei sono una cosa soltanto e che da soli ce la faranno.

    Il rapporto burrascoso con il vero padre e VEDRAI VEDRAI sono due cose molto legate tra di loro perchè è come se LUIGI lanciasse un vero e chiaro segnale a lui PAPA' come a dire:"io e mamma non abbiamo bisogno di nulla, possiamo farcela anche da soli, LA MAMMA perchè è forte ed io che intendo realizzarmi sappi che prima o poi ce la faro' ".

    E' vero, la canzone è dedicata alla mamma MA SONO CONVINTO al 99,9% che il messaggio sia rivolto in egual potenza anche al padre, mai presente nella vita di Luigi e della sua mamma.

    La riprova che il PADRE viene menzionato in VEDRAI VEDRAI sta qui:

    Si lo so
    che questa
    non è certo la vita
    che hai sognato un giorno per noi


    Quel "noi" finale fa capire che il discorso è piu' ampio: non c'e' soltanto il temporaneo mancato raggiungimento degli obiettivi da parte di Luigi ma si legge tra le righe il mancato rapporto della madre con suo padre perchè il sogno di Teresa sarebbe stato quello di vedere si sistemato Luigi ma di ricrerare per lei e suo figlio quel calore MADRE, PADRE, FIGLIO che di fatto non c'e' mai stato.

    VEDRAI VEDRAI resterà per sempre l'inno dedicato alla mamma ma penso che il padre morto nel 1985 l'abbia ascoltata tantissime volte ed abbia pianto molto perchè in cuor suo avrebbe voluto non tanto "QUEL SEGNALE" di sfida del figlio quanto invece che quel VEDRAI VEDRAI fosse rivolto teneramente anche a lui.

    Edited by Giuseppe71 - 22/2/2007, 13:22
     
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  4. luigitenco60s
     
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    Analisi da parte di Ross F. :

    Possiamo dire, partendo da un discorso puramente musicale, che Vedrai, vedrai è la canzone piu’ bella di Tenco? Ammesso che si possa stilare una lista di canzoni piu’ o meno belle?
    Qualcuno direbbe si, qualcun altro magari ne preferirebbe un’altra ecc…per vari motivi….a seconda dei gusti….
    Una cosa è però certa: è la canzone stilisticamente più perfetta che conosca.
    Sarebbe quasi riduttivo parlare semplicemente di canzone, essendo un capolavoro senza tempo e in assoluto. Merita perciò un discorso a sé.
    Mi scuserete se sarò un po’ enfatico ed esagerato, e partirò un po’ da lontano.

    La canzone, in generale, è figlia indiretta del lied tedesco, prende qualche tinta dall’opera lirica e dalle romanze da salotto, ma del lied ha la forma.
    Il lied è una composizione di breve durata, compita, solitamente per canto e pianoforte, che nell’800 con Schubert, Schumann, Brahms ha avuto il suo massimo sviluppo. Per sua natura ha un carattere intimista, e musica e testo interagiscono fortemente più che in qualsiasi altra forma musicale. La struttura è semplice e bipartita (in genere): strofa, una parte centrale più espressiva, ripresa della strofa e parte centrale, coda conclusiva (strumentale).
    Vedrai ,Vedrai è strutturata così: è il tipico esempio di un lied perfetto.
    E’ l’unica canzone di Tenco (che sappia io) in cui l’accompagnamento è affidato esclusivamente al pianoforte, con l’eccezione di una chitarra, mi pare, ma poco influente.
    Mi tocca dire una cosa però: dovrò scindere l’analisi in due parti ben distinte, il canto e l’accompagnamento cioè. In questo caso, infatti, rifacendomi alla versione ufficiale che vede Ruggero Cini al pianoforte, non posso sapere comunque se le note al pianoforte (che saranno importantissime, come vedremo) siano di Tenco o di chicchessia. Ma ritengo che abbia tutto questo un’importanza relativa, in quanto il carattere della melodia richiede quasi esclusivamente questo tipo di accompagnamento, secondo me.

    La canzone è in DO minore, tonalità cara a Tenco, ma, dopo una breve introduzione strumentale di una battuta, Tenco slitta al IV grado di DO minore, cioè FA minore, come se riprendesse un discorso in precedenza interrotto. E anche la melodia ha questo carattere (Quando la sera..): ascende con una breve scaletta di quattro note, creando una sospensione che poi si risolve ridiscendendo, toccando per la prima volta il DO minore. Di seguito ripropone la stessa scala modulando temporaneamente a MI bemolle maggiore (una specie di apertura “serena”). Le prime quattro battute sono fatte e ci si aspetterebbe una banale ripetizione: invece Tenco sceglie di arricchire per altre quattro battute la forma di questa strofa, che ha il carattere, ci tengo a sottolinearlo, di un recitativo operistico vero e proprio, discorsivo, in cui cioè, la melodia è in continua variazione, non sono previste allitterazioni, o “motivetti orecchiabili”, ma è mantenuta una certa cantabilità. Mentre il pianoforte si limita a sottolineare con qualche accordo ben distribuito la melodia stessa. Ma, attenzione, non è un accompagnamento fine a se stesso: vi è sempre con l’uso di qualche calcolata dissonanza, un breve arpeggio, una contromelodia, un’attenzione particolare a sottolineare le tensioni e le distensioni, che la melodia porta con se. Sicuramente è tra gli accompagnamenti più perfetti e affascinanti delle canzoni di Tenco. Si noti ad esempio in “come fossi un bambino” (batt. 7) come l’accordo sia delicatissimo e profondo, e successivamente, in “che ritorna deluso”, quell’arpeggio di nona sia al contrario fortemente drammatico (quasi tragico, direi). A sancire ancor di più l’andamento recitato di questa strofa “sì lo so che questa” si apre con un accordo imprevisto, di nuovo FA minore, dopo quella benedetta nona posta sul V grado di DO, che richiederebbe un quasi inevitabile ritorno a DO (si chiama cadenza evitata). E qui la melodia si permette per la prima volta una progressione, cioè una ripetizione. Per progressione si intende (lo so, rischio di essere il professorino di turno, ma è per capire) la ripetizione modulante (che cambia tonalità) o di un giro armonico o di una frase melodica: che potrebbe procedere all’infinito…. es.: Les feuilles mortes.
    In dieci battute, come vedete, abbiamo già una certa complessità: l’ascoltatore, quasi, non richiederebbe altro da una canzone: l’ho già detto per Ciao Amore.
    Infatti Tenco ci illude ancor di più terminando questo lungo recitativo con la tonalità di impianto, come a sancirne la fine.
    Mai sospetteremmo quello che verrà poi.
    Quel che prima non aveva quasi ritmo, ma era un lungo elenco di ricordi spezzati, di sogni infranti, con queste continue riprese, accordi tenuti, fraseggi melodici frammentati e distensioni, ora diventa una pura espressione dello spirito, di una liricità che non ha precedenti, e non ne avrà più neanche in Tenco, ma nasce quasi per caso. Il ritornello, infatti, non sembra nemmeno atteso. Si sviluppa in FA minore, che non è, lo ripeto, la tonalità di impianto della canzone, cioè quella che abbiamo in testa. Ma qui diventa per forza il principio di un’altra cosa, sottolineato dal pianoforte che espone una ritmica eguale, duine che si ripetono accoppiate nella mano destra. C’è qualcosa di più struggente che prende corpo.
    “Vedrai, vedrai” (il ritornello) è creato sulla progressione “stile veneziano” che ci aveva tanto colpito in Ciao amore. Lo stesso giro di accordi, ma questa volta interrotti, per non cadere nel melodrammatico, passo falso che ritroviamo invece in “Serenella” la cui progressione è stesa per intero con l’aggravante di una linea melodica tra le più “facili” e scontate per questo tipo di armonia.
    Non a caso Tenco ne diede poi una versione più vibrante o se vogliamo più accorta.
    Con questo tipo di progressione si possono creare, ed è il caso di Vedrai, vedrai, delle concatenazioni di settime di seconda e quarta specie (es. seconda specie: RE-FA-LA-DO; quarta specie: DO-MI-SOL-SI). Senza l’uso delle settime non avremmo, ve l’assicuro, la stessa emozione, cioè, se ci limitassimo ad eseguire questo ritornello con gli accordi semplici (FA-LAbemolle-DO, SIbemolle-RE-FA, MIbemolle-SOL-SIbemolle) l’intero giro armonico cadrebbe quasi nello scontato.
    La progressione s’interrompe appunto a “forse non sarà domani” mentre il basso crea un pedale armonico di dominante ovvero anticipa la nota fondamentale dell’accordo sul quinto grado (SOL) mentre l’accordo della mano destra è diverso (una sesta, resa ancor più complessa dall’aggiunta di due note di passaggio cromatiche).
    Lo so, sto diventando terrificante, ma è grazie a quest’ultimo passaggio che avvertiamo un’irresistibile tensione drammatica (da opera, appunto) che culminerà sull’ultima sillaba di “cambierà”: un momentaneo DO min. su cui il pianoforte scarica in crescendo tutto il pathos fin qui accumulato, con una frase melodica di crome piuttosto tormentata (RE, MI bem.,SI nat.,DO, RE, MI bem, MI nat., SOL).
    Ma non è ancora abbastanza: nell’arco della stessa battuta quel DO mi. diverrà DO magg. con settima (una leggera forzatura armonica, licenza poetica) e con il massimo trasporto si arriva finalmente a FA min (vedrai, verda-a-i) per la ripresa appassionata del ritornello.
    E’ un’iperbole di emozioni, laddove si era partiti quasi in sordina, solo con qualche accento ma subito smorzato. Ma non scade mai nel pateticismo.
    E’ solo il meraviglioso risultato (e tra i più palpitanti) di un meraviglioso ragazzo che aveva mille cose da dire e in questa canzone le dice tutte. E che aveva anche le corde giuste per farlo!
    L’ultimo “vedra-a-i”coincide, come ho detto, con la ripresa del ritornello, FA min ma con nona di II specie . La nona è rappresentata dal SOL che è anche la nota da cui parte, al pianoforte, una contro-melodia (SOL-LA-FA-MI-RE) supportata, per ogni nota, da relativo accordo di rinforzo.
    Una curiosità che riguarda questa frase: è praticamente identica alla Pavane di Ravel (la seconda frase, dopo quella introduttiva) E’ solo una curiosità, e dovrà rimanere tale. Non si può parlare di plagio…non me lo sogno neanche.
    Dirò che questa melodia è facilmente richiamabile all’orecchio di chi compone se abbiamo un giro armonico così, a partire dalla nona. Non è neppure l’unico caso.
    Siamo a “non so dirti come e quando” ; la tensione si smorza a poco a poco, ritornano le duine al pianoforte, mentre la melodia del canto ha un’ultimo brevissimo fremito con un salto di quarta ascendente (ma vedrai che cambierà) sul” ve-drai”, poi una scaletta discendente fino a DO, a determinare in maniera semplice la fine del ritornello.
    Abbiamo con questa conclusione la prima calata certa in DO min.,che sappiamo dall’armatura in chiave (tre bemolli) essere la tonalità d’impianto della canzone quando ricordiamo come fosse incerto stabilirlo all’inizio laddove anche il ritornello era in altra tonalità(FA min.).
    Faccio notare che il gioco fra le due tonalità (I e IV grado cioè Fa min. è IV di DO min perché posto sulla quarta nota della scala di DO), così come tra i due semplici accordi, sia una costante nelle canzoni di Tenco. E’ come un sego di estrema apertura, di liberazione.
    Un esempio per comprendere: appare evidente in “Un giorno dopo l’altro” nel passaggio da “…la stessa vita” a “e gli occhi intorno cercano…” che infatti è il passaggio tra I e IV grado.
    Il sacrosanto approdo a DO min.dopo tanto peregrinare attorno a FA, in questo caso, indica piuttosto l’inverso. Quasi un senso di rassegnazione, di inevitabile ricapitolazione o, se preferite, uno struggente ritorno a casa.
    Il seguito è una riproposizione integrale di tutta la canzone dove nella prima parte (la strofa) troviamo toni un poco più affettati, accelerati. Al pianoforte anche gli accenti sono meno prosaici; sforzati e smorzati più intensi.
    Meno lirismo espressivo e armonie più sporche, a volte accordi simili a “cluster”. E poi, ancora, dissoluzioni armoniche, se posso dirlo, come carezze stanche.
    Anche l’interpretazione, inutile dirlo, dovrebbe essere meno classica di prima bensì un tantino più vaga, quasi“jazzistica”.

    L’unica altra versione di Vedrai, vedrai (l’unica che riesco a tollerare) che vede Tenco al pianoforte dal vivo non si distacca formalmente da questa ma il tono di controllata classicità diventa il punto di forza.
    Gli accordi, è vero; sono più semplificati, il tempo è incredibilmente dilatato, ma ne trascende una misteriosa rarefazione in cui ogni accordo così come ogni singola nota è sapientemente calibrata a trasmettere un’intensità senza fine. Anche i silenzi prendono corpo e fanno parte del contesto.
    Riducendo noi ad un profondo silenzio.
    Sono davvero pochi a riuscire in questo.
    In parole più semplici Tenco ci mostra, con quest’ultima prova, che attraverso una depurazione da tutti quegli arricchimenti stilistici e complesse armonie ma mai fini a sé stesse, si può anche giungere (solo lui può farlo) all’essenza della canzone.
    E la pura essenza di Vedrai, vedrai non è altro che intensità espressiva al quadrato.
    In conclusione la versione più nota tende ad una classicità della musica, partendo dalle strette analogie col Lied o più semplicemente col repertorio musicale romantico, scardinando finalmente quella divisione tra musica cosiddetta colta e musica popolare (canzoni).
    Con buona pace di certa critica purista che sorriderebbe all’idea di associare un Tenco ad uno Schumann.
    Ma qui non abbiamo più barriere strutturali o ideologiche.
    Vedrai, vedrai è fuori dal tempo perché, nel suo genere, è musica assoluta senza farne necessariamente una questione di qualità e basta.
    Il gesto passionale di Tenco in questa canzone si rivela troppo potente per essere etichettato in questo o quel repertorio.
    Mi verrebbe da dire che una cosa come questa doveva essere scritta, prima o poi; non importa da chi o quando.
    Vado oltre: mi sentirei in colpa se a questo mondo non ci fosse Vedrai, vedrai.


    “Non sanza fatigha si giunge al fine” G. Frescobaldi
     
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  5. Leonardo Braccio
     
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    VEDRAI - VEDRAI è per me la più bella canzone italiana!!!!. In questo momento poi per me ha un significato particolare, perchè ogni giorno discuto con mia madre di un mio futuro lavoro che per il momento ancora non c'è. A volte mi capita di litigare, perc :) hè le idee non sono sempre le sesse (un po' come Luigi e la Mamma per la musica e l'Università).
    Poi è molto vera, chi non si è mai sontrato o anche solo confrontato con i genitori per le scelte della vita? (lo studio, il laoro, etc...).
    Alla fine di ogni discussione penso "vedrai che prima o poi un lavoro , che piaccia a me e alla mia famiglia lo trovo, poi tutto cambierà".
    Il video è molto bello, Luigi è veamente autentico, mentre la foto del Disco mi sembra un tantino stereotipata, come al solito qualcuno vuole fare passare Luigi come l'incazzato di turno!!".
     
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  6. Vecfan
     
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    Naturalmente, "Vedrai, vedrai" è uno dei capolavori di Tenco e, probabilmente, quello che ne rappresenta meglio la personalità, sempre in tensione tra delusione e rabbia, tra disperazione e speranza. Un brano originale e inaudito per la sua epoca: non compreso allora e, tutto sommato, poco anche adesso. Come sempre, Luigi parte da uno spunto autobiografico; ma a indulgere troppo sull’autobiografismo si rischia di fare della psicologia da rotocalco e di vanificare quanto di universale c’è in questo capolavoro.
    1) Sul piano autobiografico, si sa che il brano è dedicato alla madre, una donna che l’aveva tirato su da sola, che avrebbe voluto per lui un avvenire borghese e “sicuro” (da ingegnere) e verso la quale Tenco si sentiva anche in colpa per aver seguìto la sua vocazione artistica e musicale (… “che mi rimproveri di averti delusa”). Per di più Luigi era continuamente frustrato dal fatto che, nonostante il suo impegno e il suo talento, non riusciva ad affermarsi, a “sfondare”, col rischio sentirsi prima o poi un “mezzo artista fallito”. Lo vediamo così mentre la sera torna a casa deluso (immagine che ritornerà in "Un giorno dopo l’altro"), senza “neanche voglia di parlare” e con la constatazione che “non è questa la vita / che ho sognato un giorno per noi” (come si sa, anche il tema dei sogni adolescenziali frustrati è ricorrente in Tenco). La madre lo accoglie indulgente e cerca di consolarlo. Al che lui si sente ancora più in colpa verso di lei, a tal punto da dirle: “Preferirei sapere che piangi, / che mi rimproveri di averti delusa…”. Vale a dire: “Non perdonarmi, ma incàzzati: anzi, incazziamoci insieme per cambiare l’ordine delle cose”. Ecco allora come il ritornello “Vedrai, vedrai, / vedrai che cambierà…” non va inteso come un generico appello consolatorio, tanto per sperare che un giorno le cose andranno meglio, ma come un urlo di rivolta, che è un appello a lottare insieme per il “mondo di domani” (per riprendere un’altra espressione cara a Tenco), cioè per un vero e proprio rivolgimento politico-sociale, dove vivere meglio e dove anche gli artisti, non più frustrati dal mercato, avranno “diritto a vivere”. Che si tratti proprio di questo, Tenco ce lo dice, per esempio, in "Io vorrei essere là": “Io vorrei essere là, / sulla mia verde isola, / ad inventare un mondo / fatto di soli amici. / Vorrei essere là / per non dover difendere / giorno per giorno, sempre, / il mio diritto a vivere. / Vorrei essere là, / ma devo rimanere / perché anche qui domani / qualcosa cambierà”. Da qui il Tenco contestatario e “politico”, testardo e ribelle, che non si dà facilmente per vinto: “… non son finito, sai”.
    2) Sul piano poetico più generale, "Vedrai, vedrai" oscilla continuamente (anche durante la meravigliosa versione filmata, che fa venire i brividi) tra disperazione e speranza, tra amarezza e rivolta. Non parlerei neppure di “malinconia”, ma del contrasto stridente tra questi due diversi livelli emotivi. Tenco ci illustra e ci interpreta da par suo una situazione interpersonale comune, drammatica, che parte dalla constatazione della SCONFITTA (di una sconfitta temporanea, però), ma senza arrendersi e lasciando viva la speranza del RISCATTO (umano, sociale, politico, ecc.). Una situazione universale, appunto, che non vede necessariamente coinvolta una madre, ma anche una possibile compagna di vita. Il tessuto musicale del brano si sposa alla perfezione col testo, nelle sue alternanze di dolore e rabbia (cfr., nel ritornello, la seconda ripresa di “Vedrai, vedrai, / non son finito, sai: / non so dirti come e quando, / ma vedrai che cambierà”). Anche la scelta dell’arrangiamento (pianoforte solo) restituisce quell’atmosfera colloquiale e da “camera”, che altrimenti suonerebbe retorica. Viene da chiedersi come facesse Tenco a stare così attento a tutti questi dettagli, senza lasciare nulla al caso; ma è probabile anche che si facesse guidare dal suo infallibile “istinto” artistico.
    Il messaggio di "Vedrai, vedrai" è, in ogni caso, chiaro e netto: come sempre in Tenco, del resto. Luigi sfronda via (con una sorta di procedimento a “levare”, anziché “ad aggiungere”, come faranno invece tanti cantatutori degli anni ’70) tutto ciò che è inessenziale alle cose che ha da dire: ci immerge subito in “medias res”, giungendo direttamente al nocciolo di un dramma psicologico o interpersonale, senza compiacersi nella descrizione del paesaggio o di tutto ciò che può fare da contorno. Forse ci era costretto dalla struttura tradizionale e popolare del genere canzone: ma tre minuti gli bastavano a dire tutto. La sua interpretazione fa il resto: nessuno può cantare Tenco come Tenco (non ci sono Mine o Vanoni che tengano) perché le molte sfumature emotive e i molti echi di ciò che aveva da dire provenivano direttamente dalla sua interiorità ed erano resi alla perfezione dalla sua vocalità, a tal punto che si sarebbe tentati di dire che "Vedrai, vedrai" non è per solo pianoforte, ma per pianoforte e sax.
     
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    Bellissima analisi, fatta bene e la condivido in pieno!
     
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  8. yaritzamendara
     
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    Complimenti per tua analisi,minunciosa e precisa,Vecfan :)
    Mi ha piaciuto molto. Benvenuto alla Verde Isola e grazie per la collaborazione.

    Yaritzamendara
     
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  9. Maricucciola
     
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    Indubbiamente "vedrai vedrai" è (e a ragion veduta) una delle canzoni di Luigi più amate. Non sono un'esperta di musica dal punto strettamente tecnico,quindi per quanto riguarda la parte musicale posso solo limitarmi a dire che incornicia perfettamente le parole trasportandoti in un'atmosfera onirica di assoluta. Per quanto riguarda il testo...beh...credo ci sia ben poco da dire di quanto gli altri isolani non abbiano brillantemente descritto. Dal punto di vista personale,ritengo Vedrai vedrai un meraviglioso,gioioso inno alla vita,e alla speranza. E' la canzone che meglio descrive quanto Luigi amasse la vita e quanta fiducia riponesse in un futuro che non vedeva certo in modo pessimistico: vedrai vedrai non son finito sai:non so dirti come e quando ma un bel giorno cambierà" Sappiano che Luigi aveva dedicato questa stupenda canzone a mamma Teresa,a cui era legato da un affetto sconfinato,ma si può "pensarla" e dedicarla a qualsiasi persona importante della nostra vita:la nostra donna o il nostro uomo,un figlio,il migliore amico o la migliore amica. Io personalmente quando la ascolto la dedico a mio nonno che è andato via da qualche mese:proprio perchè è stata una delle poche persone che non mi ha mai rimproverato di averlo deluso,che mi guardava con quella tenerezza disarmante(forse la stessa con cui mamma Teresa guardava Luigi) e mi incoraggiava sempre dicendomi di non preoccuparmi per i momenti "no",perchè prima o poi tutto sarebbe cambiato e sarebbe arrivata la serenità e la realizzazione che sognavo. A chi ancora sostiene che Luigi fosse un tipo triste,depresso,che non amasse la vita,consiglio proprio l'ascolto di questa canzone,così che possano rendersi conto che la mente ed il cuore di una persona triste e depressa non sarebbero mai riusciti a concepire un simile inno di pura speranza,una canzone che "sorride al futuro e gli protende le braccia"
     
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  10. Rosa10
     
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    Ciao a tutti
    qualcuno di voi mi può aiutare per cortesia...
    in che tonalità sono Averti fra le braccia e Il tempo dei limoni?
    Vi ringrazio anticipatamente
     
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    Ciao Rosa..."Averti tra le braccia" e in LA bemolle, "Il tempo dei limoni" è in FA maggiore.Spero di esserti stato utile.Benvenuta sulla verde isola di Luigi Tenco.
     
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  12. Rosa10
     
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    Grazie mille
    mi è molto utile :-)
     
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11 replies since 11/2/2007, 10:22   11623 views
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